Benvenuti sulla pagina del padre Innocenzo Gargano

Lo scopo di questa pagina è quello di aiutare chiunque desideri approfondire un argomento di lectio divina o di guidare coloro che cercano un cammino di spiritualità cristiana più profondo nella loro conoscenza biblica e teologica. Per questo motivo condividiamo diverse risorse di Padre Innocenzo Gargano, monaco camaldolese, la cui esperienza rivela la ricchezza dell'opera di Dio nella sua vita.

L’idioritmia camaldolese


Ma cos’è questa idioritmia camaldolese?


Tutto parte da un’idea di San Romualdo (†1027), fondatore di Camaldoli, che aveva recepito dall’Imperatore Ottone III (980-1002) la proposta dei Tria Commoda fatta ai primi discepoli di San Romualdo, nella quale si proponeva: a coloro che sono agli inizi del cammino spirituale la vita comune, perché la vita comune disciplina le persone. I principianti devono infatti passare attraverso la vita di comunità per poter ammorbi- dire il proprio carattere e aprirlo alla comunione, in modo da poter ritrovare l’intimità con Cristo amando i fratelli.

1)- Perciò a coloro che sono appena venuti dal mondo laico va chiesto di vivere in comunità, lasciandosi formare non solo dal maestro, o dalla maestra, ma dalla comunità in quanto tale. Con le ‘botte’ metaforiche che si ricevono un po’ da tutti ci si deve ‘limare’ il carattere a vicenda (CENOBIUM)

 

2) - Per coloro che hanno raggiunto una maturità spirituale e nutrono il desiderio esclusivo di vivere in piena fedeltà a Cristo, è essenziale offrire un'opportunità adeguata per una dimensione di solitudine. Questo implica la possibilità di risiedere in un contesto più riservato, come una cella personale dotata di un giardino privato, impegnandosi in un'attività specifica, senza tuttavia essere vincolati alla partecipazione continuativa a tutti i momenti comunitari che caratterizzano la vita comune (EREMO).

 

3)- Chi però, una volta che è passato attraverso questa esperienza di vita solitaria, sente il desiderio di dare ancora di più se stesso (o se stessa) a Dio, bisogna lasciargli aperta la porta dell’apostolato, o la strada dell’evangelizzazione dei pagani, come diceva il monaco camaldolese Bruno di Querfurt (974-1009): “Noviter venientibus de saeculo desiderabile coenobium, maturis vero et Deum vivum sentientibus aurea solitudo, cupientibus  dissolvi et esse cum Christo evangelium paganorum”.

(EVANGELIUM PAGANORUM).

 

Perché tutto questo?

Perché ciascuno deve corrispondere, nel comportamento pratico, alla sua identità personale. E l’identità personale è per definizione un’identità in crescita. Tutti noi passiamo attraverso le fasi dei principianti, dei proficienti, e poi dei cosiddetti perfetti. Naturalmente il passaggio attraverso queste tre fasi non deve mai rompere la comunione. Quindi, senza il permesso della comunità, non si fa alcun passaggio. Il consenso di chi ci sta accanto fa parte del discernimento. Infatti, chi chiede il passaggio da una fase all’altra, non rompe con la comunità ma rimane in una mag- giore comunione con essa. Questo ‘discernimento comunitario’ rivela che si tratta di una chiamata autentica. La stessa cosa vale per chi, dopo un’esperienza di vita solitaria, sente il desiderio di uscire dalla solitudine per dedicarsi all’evangelizzazione dei pagani, pur rischiando il martirio.

Lo spirito camaldolese è tridimensionale, perché è rispettoso della situazione spirituale di ciascuno. Per questo si chiede al monaco di essere idioritmico, rispettando sia la propria identità, sia l’identità degli altri. Infatti, punto d’arrivo di tutti è la Communio Trinitatis, rendendo presente sulla terra l’immagine, appunto, della Trinità Divina. Tutti gli esseri umani contribuiscono ad essere in realtà icona della comunione Trinitaria del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo!

Questo messaggio è stato ripetuto dai vescovi del Concilio Vaticano II quando si è parlato del Mistero della Chiesa accostandolo all’Imago Trinitatis presente nel mondo.

 

Allora, cosa significa essere idioritmici?

Significa che all’interno dello stesso cammino cristiano, o monastico, la preoccupazione principale deve essere quella di testimoniare la possibilità che possa esserci un’unità profondissima, nel rispetto della distinzione delle persone, come accade nel mistero trinitario. C’è unità, cioè un unico Dio, ma nel rispetto delle tre Persone: Padre, Figlio e Spirito Santo. “Deus unus est sed non solitarius” diceva Ilario di Poitiers (†367).

Tutto questo significa che la vita monastica, e anche la vita della Chiesa, dovrebbe fare di tutto perché le sue leggi, le sue strutture, le sue istituzioni tengano conto, per quanto è possibile, del mistero trinitario. E anche la sensibilità sinodale, non può fare a meno di tenere conto che vera sinodalità è quella che permette di realizzare sulla terra, secondo le possibilità ovviamente delle creature, la stessa realtà Trinitaria.

Questo significa che, come il Figlio è perfettamente uguale al Padre, e il Padre è perfettamente uguale al Figlio, e che la relazione tra Padre e Figlio si chiama Spirito Santo, perfettamente uguale al Padre e al Figlio, nonostante l’identità ipo- statica di ciascuno, così dovrebbe accadere anche all’interno delle istituzioni della Chiesa.

Ma qui cominciano i problemi, perché il Concilio Vaticano II ha recepito il messaggio parlando nella Lumen Gentium (1964) “de Ecclesiae My- sterio”, ma poi non ha articolato nella pratica che cosa possa significare tutto questo. Noi camaldo- lesi invece, avendo davanti a noi la storia del nostro fondatore di Camaldoli, passato egli stesso attraverso queste tre fasi, ne abbiamo conservato lo spirito che abbiamo potuto finalmente inserire con chiarezza nelle nostre Nuove Costituzioni postconciliari                 (1987),     richiamando un’equiparazione che faceva lo stesso San Romualdo, tra martyrium sanguinis, ricercato dai missionari, e martyrium amoris, realizzato con la reclusione perpetua nella solitudine di una cella eremitica. Così: come per darsi totalmente a Cristo i monaci evangelizzatori rischiavano il martirio, così il monaco divenuto eremita recluso cercava il martirio di essere sepolto con Cristo, per manifestare lo stesso desiderio di non avere nulla di più caro che Cristo.

Pertanto, noi camaldolesi abbiamo potuto, dopo il Concilio Vaticano II, far rinascere la nostra Congregazione ritornando alle radici. In verità, sappiamo però che vivere l’idioritmia non è così semplice, perché c’è sempre il rischio dell’individualismo di chi intende fare soltanto i fatti suoi. Da qui la necessità di un sano discernimento compiuto alla luce del mistero trinitario che al suo centro ha la parola chiave “kenosis” (svuotamento totale di sé), vissuta e contemplata in Cristo crocifisso. Stiamo ancora camminando con i piedi di piombo su questa strada, consapevoli di quanto sia difficile realizzare l’ideale cercato.

Dunque, l’idioritmia comporta un serio riferimento al mistero trinitario e alla kenosis. La difficoltà nasce quando, nel rivendicare la propria identità, si deve poi stare attenti a rispettare l’identità degli altri. È l’insieme che crea infatti la gioia della koinonia sinfonica, immagine della Santa Trinità.

Naturalmente tra le cose che noi dovemmo approfondire in quegli anni postconciliari furono: la Bibbia, la Liturgia e i Padri della Chiesa. E ci fu spiegato che la spiritualità del Concilio Vaticano II supponeva i contenuti delle quattro Costituzioni Conciliari: Sacrosanctum Concilium, Lumen Gentium, Dei Verbum e Gaudium et Spes. Per noi monaci erano determinanti soprattutto la Sacrosanctum Concilium (fonte e culmine di ogni altra manifestazione della vita della Chiesa è l’Eucarestia celebrata) e la Dei Verbum (richiamo alla determinante importanza della Scrittura all’interno della vita cristiana).

Capimmo così che dovevamo anzitutto recuperare la preghiera dei Salmi, studiandoli nel modo più approfondito possibile e realizzammo il Salterio Camaldolese. Ci dedicammo poi alla celebrazione eucaristica, eliminando le cosiddette ‘messe private’ e rimettendo al centro della preghiera monastica la concelebrazione. Tutto questo portò al recupero dell’importanza della Lectio Divina come punto determinante del cammino spirituale del monaco, ma anche del cristiano.

 

 

"Fu così che io, per esempio, mi sono dedicato per decenni a capire, e a far capire, che cos’è una Lectio Divina, vivendola e spiegandola a tutti, nei vari modi possibili. Devo dire che, superati gli ottant’anni, sono convinto che questo particolare servizio per la Chiesa è stata in realtà la cosa più bella della mia vita!”

p. Innocenzo Gargano

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